domenica 12 maggio 2019

Diana e Fulmine


940. 534. 5. 652.
E' la collocazione, presso la biblioteca della Casa della Memoria e della Storia, del testo denominato "La storia rovesciata: la guerra partigiana della brigata garibaldina Antonio Gramsci nella primavera del 1944" di Angelo Bitti, Renato Covino, Marco Venanzi.
Sarà il mio battistrada per preparare la consueta camminata resistente del 25 aprile di questo anno.
Questa volta vado sui monti del ternano-reatino per cercare tracce della storia di Gianna Angelini, nome di battaglia Diana.


Sui sentieri della Resistenza l'ho incontrata, non so bene perchè mi sono affezionata proprio a lei fra le donne della Gramsci.
Non sono riuscita a darle un volto...non ho poi avuto molto tempo per cercarla...ho pensato magari non fosse una bella donna fotogenica come la Pahor... e allora l'ho adottata ... ho deciso che sarebbe stata la mia eroina di questo 25 aprile.

Era una maestra. Giovane maestra a Vallunga, piccolo paese dell'appennino nel comune di Leonessa
Collaborava come tante, alla raccolta di cibo e indumenti per i primi che si davano alla macchia. Segnalata.
Costretta alla clandestinità per rimanere fedele a se stessa, antifascista.
Forse un pò più determinata di altre, dal momento che si trova di parte,  ci rimane e si unisce alla banda partigiana che per prima in Italia istituirà, libera, la prima repubblica partigiana d'Italia sul territorio di Cascia.


Sul mio testo di riferimento leggo in merito alla fondazione della Brigata Garibaldina Antonio Gramsci: Gianna Angelini, amministratrice.
Ora che cammino coi miei figli su per questa mulattiera fra Polino e il Salto del Cieco, la vedo, la immagino, cogli scarponi, i calzettoni, una gonna al polpaccio, una borsa di cuoio a tracolla, dentro le carte...i quaderni dei verbali. Una che all'inizio ha fatto la resistenza con carta e penna.



Gianna verbalizza, appunta, schematizza. Gianna costruisce una strategia dettagliata nella sua testa.
E vede tutto chiaro.
E acquisisce forza, coraggio e un giorno prende la parola al Salto. 1 maggio 1944.
Conquista l'attenzione dei maschi. Gianna guadagna stima, Gianna da lì in avanti prenderà parte alle missioni. Imbraccerà un'arma.
Gianna si innamorerà di Mario. Mario Filipponi, Fulmine Filipponi.
Diana e Fulmine.
Arco, luce, arco di luce, azione e visione.
Di morte e di vita artefici.
Ai confini di questi territori segnati
stabiliscono incerta dimora per il loro amore.
Il comandante Pasquale ( Alfredo Filipponi) , li sposerà di fronte ai compagni di brigata.
Dopo la liberazione metteranno a posto la faccenda in chiesa a Piediluco.
A Piediluco Gianna farà la maestra fino alla pensione.



Mentre do vita a questi racconti durante la nostra escursione,  le pendici del Monte della Pelosa si avvicinano e consentono un incontro tra noi e loro, lontani, impossibili. Al di fuori del tempo, nello spazio compresenti.














giovedì 26 aprile 2018

Ribelli sloveni nel querceto di Renicci

I prigionieri evasero da quel vero e proprio lager in una fiumana di oltre 5000 internati civili e confinati politici. Di essi la maggior parte prese la via del nord nel tentativo di raggiungere il proprio luogo di provenienza, la Jugoslavia. Altri preferirono combattere sul posto e si diressero verso le limitrofe zone marchigiane unendosi alla Resistenza italiana.

Era il 14 settembre 1943 e quel vero e proprio lager era il campo di concentramento fascista n. 97 di Renicci, in riva al Tevere in località Motina a poco più di quattro chilometri e mezzo da Anghiari. Ecco di questi slavi, evasi, fuggiti o liberati, entrati nelle fila delle nostre brigate partigiane appenniniche mi è sempre interessato molto sin dalla prima volta, in cui mi sono interrogata sul perchè la sezione ANPI di Perugia fosse intitolata oltre che a Bonfigli a Milan Tomovic.

La lotta per la libertà non ha avuto confini, nè esclusività di genere o nazionalità. Non bisogna mai smettere di ricordarlo.

Ieri, 25 aprile 2018, ho deciso di rendere omaggio a questi partigiani slavi della nostra Resistenza, ho deciso di far conoscere alle mie figlie e ai miei figli questa vicenda spesso, troppo spesso, ignorata.

 La prima notizia di confinamenti di cittadini sloveni risale al 25 aprile 1941. Le autorità italiane della provincia di Lubiana pensarono a inviare al confino di polizia coloro che erano sospettati di poter nuocere all'Italia fascista. Nulla di nuovo sotto il sole...
La lotta antiribelli si fece presto sempre più dura.
11 settembre 1941 entra in vigore l'ordinanza Grazioli, provvedimenti per la tutela dell'ordine pubblico. Oltre al confino si introduce la pena di morte irrogata da speciali tribunali da eseguire in 24 ore.
24 ottobre 1941 Mussolini estende il reato di propaganda e manifestazioni pubbliche ai tribunali di guerra e istituisce un tribunale speciale presso il governatore di Dalmazia, il 7 novembre lo istituisce anche a Lubiana.
Nel marzo 1942 Mussolini impartisce la Circolare 3C, iniziano i rastrellamenti e gli internamenti di massa.
Verso la metà di marzo...si stende il filo spinato e si allestisce il primo campo di concentramento di Gonars in Friuli.

Sarà pieno in poche settimane.

Ecco come e perchè si arriva all'istituzione di Renicci nell'agosto 1942. Nel nostro comprensorio umbro-toscano c'erano campi a Renicci, Colfiorito, Tavernelle, Pietrafitta, Ellera e Castelsereni.

Ieri, pertanto, col desiderio di scoprire da soli questa storia, ci siamo diretti ad Anghiari. Qui abbiamo cercato la vecchia stazione ferroviaria, ora dismessa, e ci siamo incamminati a piedi sulla strada provinciale che conduce a Caprese Michelangelo, percorrendo lo stesso tragitto su cui dall'agosto 1942 al settembre 1943 venivano incolonnati i prigionieri politici, internati, confinati e anarchici diretti al campo di concentramento fascista di Renicci.


Davanti alla vecchia stazione, sul luogo dove dovevano esserci i binari ho avviato la mia narrazione. Nei giorni precedenti mi sono procurata un testo di riferimento e sono entrata così nella storia. Si tratta di uno studio storico intitolato La vita quotidiana di un campo di concentramento fascista - Ribelli sloveni nel querceto di Renicci - Anghiari (Arezzo) scritto da Daniele Finzi, edito da Carocci.


La prima immagine che sono riuscita ad evocare è quella di questi prigionieri ammucchiati nelle tradotte. Provenivano via Padova, Bologna, Firenze, Arezzo; giunti ad Arezzo venivano dirottati sulla appenninica Arezzo Sansepolcro Fossato di Vico fino alla stazione di Anghiari. La gente del posto ricorda che in alcuni tratti molto in salita, il trenino rallentava così tanto che i prigionieri sarebbero potuti saltare giù se non fosse che i sorveglianti ai finestrini mettevano rami spinosi di rovo per impedirglielo.



 Si racconta che i ragazzini del paese di Anghiari si buttassero giù per la discesa di corsa ogni volta che sentissero provenire il treno e che accompagnassero questi uomini stanchi e provati per un pezzetto di strada, fino al ponte dei Sospiri.


Partiamo quindi anche noi, fra gli insulti di qualche bieco automobilista, siamo 6 camminatori incolonnati e disciplinati ben avvezzi a destreggiarci sul bordo della strada come mucche o muli sia in ambiente urbano che montano, tanto non basta a risparmiarci.



Io immaginavo di poter leggere dei passaggi del libro, far vedere immagini lungo il cammino, ma mi sono dovuta presto rendere conto che era impossibile anche per il rumore delle auto. Ho deciso quindi di fare delle piccole soste narrative, anche se la lunghezza del tragitto non lo avrebbe richiesto, ma la curiosità sì.
La giornata era splendente di sole, la vallata nel suo massimo rigore di verde, e noi stavamo lì a popolare la strada di domande.
Perchè proprio qui?


Renicci prima era un campo estivo di addestramento militare, poi nell'autunno del 41 cominciarono i lavori per la trasformazione in campo di concentramento. La scelta non fu casuale: l'area era vasta con possibilità di ampliamento, c'erano acqua e luce grazie alla vicina centrale elettrica di Montedoglio, una strada comoda, era già segnalato nelle carte militari, era ricoperto da querce secolari che lo nascondevano e proteggevano. I lavori del campo furono assegnati all'ingegnere Berni, che a Sansepolcro aveva già in corso il cantiere per la costruzione del nuovo pastificio Buitoni. Le prime semplici opere furono quelle dell'abbattimento di qualche quercia, la posa della prima recinzione di filo spinato e la costruzione delle torrette di guardia. Poi i lavori rallentarono per la mancanza di manodopera e per le avverse condizioni meteo, ma in primavera seguirono ordini di accelerare le operazioni. Per la manodopera Berni impiegò circa 200 uomini.

Dopo questa prima sosta abbiamo ripreso il cammino cercando di individuare alcuni elementi paesaggistici. La collina di Montedoglio è di facile riconoscimento, adesso è tappata dall'omonima diga sul Tevere e non ci si sbaglia. Nel 43, quando il campo fu dismesso la diga non c'era, il valico non era allagato, molti internati svalicarono via e scomparvero verso Montedoglio. Era la via per raggiungere l'appennino marchigiano. Sceglievano la montagna quasi per istinto, forse perchè stranieri, forse perchè abituati alle zone pedemontane. Cercavano di raggiungere il mare e finivano per unirsi ai combattenti partigiani italiani. Il loro fu un contributo molto significativo, non di poco conto.


Nel frattempo eravamo giunti all'altezza di Micciano scorgendo la pieve sulla destra. Sarebbe stato interessante fermarsi...ma non eravamo lì per questo, avevamo desiderio di arrivare al giardino della memoria, non avevamo aspettative di trovare niente, null'altro che storie da rimembrare.

Così siamo arrivati a Motina, un piccolo abitato sulla strada per Caprese Michelangelo.
Ieri, 25 aprile a Motina, la gente onorava la festa.
Chi era vestito per bene, chi indossava abiti da lavoro, chi sembrava essere appena sceso dal bosco o rientrato dal campo, chi appena buttato giù dal letto. Vita rurale dei nostri tempi.
Noi eravamo estranei in quel quadro, vestiti strani, con questi orribili indumenti tecnici da escursionisti fissati...avranno pensato che eravamo stranieri.
Siamo entrati al bar. Ho sperato fra me e me di non riconoscere qualcuno degli automobilisti di prima...
Ho chiesto informazioni solo per far capire che eravamo umani, io lo sapevo dove era il bivio per Renicci, ma ho sentito il bisogno di parlare, di far capire che eravamo venuti in pace.


Volevo attaccare bottone, speravo di incontrare qualcuno attorno a queste case vicino all'ex-campo, qualche anziano che mi dicesse che lui aveva 10 anni quando... Sono disponibile, siamo qui per questo, forza fatevi sotto, uscite fuori! Pensavo. Solo bambini che giocavano. Ma una vecchia l'ho intravista, seduta al sole fuori casa, l'ho puntata, l'ho salutata...mi ha dileguato con un cenno della testa dal basso all'alto, da sinistra a destra a indicare che eravamo arrivati, che era di là. Quel gesto ha detto più di mille parole. Una specie di vergogna.


Renicci oggi e' un piccolo giardino monumentale evocativo. Una bandiera della pace sbrindellata si agita al vento in cima alla riproduzione di una torretta. Poveraccia, deve fare tutto lei.
Le querce sono le testimoni viventi di quanto è accaduto. Le ho ascoltate frusciare. Le ho viste filtrare il sole potente di mezzogiorno. Quattro cinque belle grasse galline ci hanno fatto da comitato di accoglienza.






Eccoli i miei figli schierati seduti davanti a me, orecchie aperte, bocche piene perchè li posso portare anche in capo al mondo purchè all'arrivo ci sia un panino.

Faccio un giro della piccola area e poi parto con la descrizione della planimetria del campo, i 3 settori, i locali di comando, i locali di servizio. Le tipologie costruttive, le dimensioni, la capienza, le presenze, la descrizione del regime alimentare a carattere repressivo. La misura ... è colma.
Al "Sentinella all'erta", "All'erta sto" ripetuto per ciascuna delle 24 torrette di controllo, non ci potevano credere.
Poi è venuto il momento del Comandante Pistone e una serie di singoli aneddoti che ho pescato dal capitolo "Il campo nella memoria locale".
E abbiamo fatto anche un pò di teatro perchè così hanno veramente capito.
E soprattutto abbiamo parlato di cosa è accaduto dopo l'apertura del campo nel settembre 1943.



Tornando indietro il passo si è fatto veloce, i pensieri più leggeri, il sole si è fatto sentire, i colori della natura tutti dischiusi. Questi 9000 internati in un anno a Renicci li abbiamo portati tutti fuori dal filo spinato, un'altra volta ancora. Ora e sempre.


martedì 1 dicembre 2015

La curiosità ha ucciso il gatto, ma la soddisfazione lo ha fatto ritornare

Sono molto d'accordo con questa citazione del drammaturgo, premio nobel per la letteratura nel 1936,  Eugene Gladstone O'Neill.
Mi capita spesso, andando per sentieri più o meno remoti della nostra regione, di imbattermi in tesori nascosti e celati, chiusi.
In genere bisogna accontentarsi di osservare dall'esterno, di usare solo l'immaginazione.
Spesso sono dovuta tornare ripetute volte, altre volte è bastato, appunto, osare un' po...intrufolarsi leggermente e...questi luoghi, magicamente, si sono svelati.
Questa volta è successo al castello di Monte Sperello.
Stavamo percorrendo l'anello M21 dei sentieri del Trasimeno. Provenendo da Montemelino, arrivavamo a Monte Sperello e ci bloccavamo davanti al solito cancello ...
Ma questa volta, uno più piccolo, laterale, era leggermente socchiuso.
Non ho resistito e mi sono intrufolata dentro.
Monte Sperello è un castello databile fin dall'anno mille. Da questo luogo ha preso il nome una delle famiglie più antiche e conosciute di Perugia. Quì, nel medioevo, le genti dovettero incastellarsi per via delle condizioni del terreno paludoso e malsano. Nel 1200 Monte Sperello, Monte Melino e Pian del Carpine effettuarono una importante opera di bonifica della zona. Dopo il periodo medievale, il castello divenne dimora nobiliare; oggi ne conserva ancora l'elegante aspetto.
Ho fatto qualche timida foto ... poi ho sentito un vocina da dietro dirmi: "Vuole vederlo?" Lì per lì mi sono sentita come un ladro, poi ho risposto decisa " Certo! Se si può..."
E così ci si sono aperte le porte di questo castello, attualmente in restauro per essere convertito ad attività ricettiva di grande lusso.
La giovane signora che ci ha guidato all'interno del borgo aveva l'aria di essere coinvolta nella proprietà del bene...ma molto laicamente...forse era architetto...o forse no. Ero così affascinata da quello che stavo vedendo e così onorata di essere stata ammessa a castello che non ho voluto chiedere niente di personale! Non mi importava...lei era lì nello stesso momento in cui noi eravamo giunti a piedi al borgo dopo una fantastica escursione e ci faceva entrare in questo suggestivo scenario...
Una targa, al cancello principale esterno, ingiallita dal sole e scritta con il normografo anni or sono...dice

insediamento abitativo di origine etrusca
villa di epoca romana
fortificazione bizantina
proprietà benedettina
feudo e castrum medioevale
villa signorile dal 1400


E noi per vederla ci tocca invocare la fortuna?

Il tema non è nuovo: la conservazione del patrimonio collettivo e del paesaggio per merito dell'intervento di un' impresa privata?
Per me una questione ancora spinosa...che dipende dalla natura e dagli scopi dell'impresa.
La conservazione del paesaggio è un importantissimo servizio di utilità sociale.
Ma dubito che una qualsiasi impresa sociale possa recuperare e restituire alla collettività un bene così enorme e impegnativo come questo! Quindi...benvenuto signor proprietario!
La nostra accompagnatrice ce lo indica da una finestra, il proprietario intento a colloquiare con altri in una delle corti interne; io gli faccio ciao con la mano, e lui sorride. Ho pensato che è coraggioso, molto coraggioso!

Giudicate voi...












UN VIDEO DELL'ESCURSIONE


giovedì 12 novembre 2015

Che mi levino queste macchie attorno

Di edicole e simulacra varie, legate a ricorrenti miracoli silvo-pastorali...sono letteralmente costellate le campagne umbre...ma questa di Mongiovino è proprio esagerata e fuori dalla norma!

Narra una storia che in un anno non ben precisato tra il XV e il XVI secolo, una pastorella sentì provenire una voce da una edicola fra i campi. La voce le raccomandava di dire agli uomini di Mongiovino di prendersi maggior cura della edicola sacra, di ripulirla dai rovi e di farci una piazza...

Li per lì non le credettero...ma successivamente...la presero proprio sul serio!!!
Ed ecco il risultato...altro che piazza! costruirono un enorme santuario!



Il progetto è attribuibile al Bramante. Non ci sono documenti certi ma la somiglianza con lo schema della chiesa della Consolazione di Todi parla chiaro.
I lavori furono seguiti dall'architetto Rocco Tommaso da Vicenza, suo collaboratore. Lo schema adottato per questa opera è molto comune e si rifà ai modelli quattrocento-cinquecenteschi...pianta greca, una grossa cupola centrale...un impianto mastodontico che certo non ti aspetteresti di trovare in una località così piccola, remota e rurale.

Per questo sorprende e merita una passeggiata tutta intorno nei luoghi in cui sorge.

Siamo lungo l'itinerario M15-Mongiovino, Buca del Calcinaro e questo è un fotoracconto della giornata. Bella, ci è piaciuta...peccato ...come al solito...di trovarle sempre chiuse queste chiese!



venerdì 6 novembre 2015

L'oro dell'Isola

Domenica 1 novembre ho partecipato, su invito della mia nuova amica Ornella di Cittadinanza Attiva Umbria, ad una giornata di raccolta delle olive all'Isola Polvese.

Un evento simbolico e ... forse un pò provocatorio, promosso da Arpa Umbria, Legambiente, Cittadinanza Attiva, PsiQuadro, Cooperativa Pescatori del Lago Trasimeno, Cooperativa Plestina.

Il battello per l'isola durante questo periodo autunnale-invernale è sospeso, ma per l'occasione ce lo avevamo a disposizione durante tutta la giornata avanti e indietro.
Un privilegio assoluto per noi pochi che abbiamo aderito all'iniziativa in una bellissima giornata autunnale di sole e cielo terso.

La cultivar autoctona della Polvese è chiamata Dolce Agogia, come un pò tutto intorno al Trasimeno, ma anche alle porte di Perugia la ritroviamo.
Gli oliveti della Polvese sono secolari, i primi ad occuparsene furono gli stessi monaci olivetani che li impiantarono. Sull'isola esiste un antico molino ... al quale però noi non abbiamo potuto conferire il nostro piccolo raccolto, che verrà franto a terra... Ma fa lo stesso l'idea della giornata era quella di sensibilizzare le persone sulla tutela del territorio per valorizzarne la ricchezza e la biodiversità.

Per noi è stata un'occasione particolare di stare insieme ad altre persone e socializzare questo gran bel intento del prendersi cura del bene comune!

Eccoci all'opera! Cliccate sull'immagine...







A servizio di chi meglio lo pagava!


Sto parlando di Niccolò Piccinino, capitano di ventura perugino…del quattrocento; ventotto anni al servizio di chi meglio lo pagava: la signoria di Montone, la Repubblica di Firenze, il Ducato di Milano.

Delle sue battaglie, la più famosa è quella di Anghiari svoltasi nel 1440. Quella volta era a capo delle truppe dei Visconti e subì una sconfitta, neanche troppo violenta dice il Macchiavelli, per mano dei Medici di Firenze che da quel momento si riappropriarono del dominio in alta valle del Tevere. 

A Piccinino non restò che tornare a Milano.
Era partito dall'Umbria…con precisione da Caligiana, dove era nato nel 1388.

Caligiana è un piccolo borgo, mai fortificato, sulle colline attorno al Trasimeno, nei pressi di Colpiccione, Castel Rigone.

Si narra che il nome Piccinino sia legato alla bassa statura, così bassa da entrare nello zaino di un mercenario tedesco per scappare da un castello accerchiato...

Di certo non era uno da farsi scrupoli. I fiorentini lo considerarono un traditore quando decise di assoldarsi ai Visconti, appesero pure la sua effigie in piazza e lo fecero ricercate da un altro condottiero, Niccolò da Tolentino, che lo localizzò in una cascina cui diede fuoco..ma il piccoletto…sguinzagliolò via un'altra volta, giù per un dirupo.

Anni dopo, Piccinino si vendicò del Tolentino…lui riuscì a catturalo e lo uccise proprio giù per un burrone.

A parte queste e altre scaltrezze…in battaglia non riportò mai grandi risultati.

Chissà come sarebbe stata la vita del Piccinino se fosse rimasto a Caligiana?
Di certo non meno forte e violenta. Forse un po' più onesta…il padre aveva una bottega di macellaio e iscrisse il figlio alla sua arte…ma questo non ne volle sapere, preferì, giovanissimo, seguire il fascino e le orme del conterraneo e contemporaneo Braccio Fortebraccio.
Questa curiosità sul luogo perugino d'origine del nostro uomo d'armi ci muove per una nuova escursione in una mite giornata autunnale.




Devo dire…Caligiana di per se delude…non ha più la dimensione del borgo, le poche case, da come sono state restaurate e chiuse le une alle altre con recinzioni più o meno impenetrabili …non invitano a soffermarsi. Niente a che vedere con il fascino di molti altri piccoli, piccolissimi aggregati sperduti in mezzo ai boschi che a volte, seppur disabitati, ti accolgono con più calore.
Ecco forse c'è un elemento che ha attirato di più la mia attenzione: il minuscolo cimitero ai bordi delle case prime di entrare. E' dismesso…ma emana tutto il suo fascino, come se da quella terra racchiusa fra le quattro mura uscissero fuori ancora storie.
Mi sono sempre domandata che fine faranno questi cimiteri di campagna…la natura se li riprenderà, meglio così.


Il percorso della camminata nei boschi e in mezzo ai campi e oliveti vale veramente la pena!
Si lascia godere, specialmente in questo periodo dell'anno. 
L'incontro fortuito con 2 anziani signori che da soli raccoglievano le olive, un piantone per volta in mezzo al nulla, mi commuove. La signora ci chiede: "Che ore sono che non ho portato il cellulare!?"
Non l'orologio...il cellulare.
Incredibile…
Poi le chiedo se posso farle una foto, sono un po' distante da lei, ho la macchina fotografica forse lei non la scorge…comunque mi risponde:
" Uh…sono così brutta che spacco lo schermo del telefono!!"
Incredibile ancora…
Sono 2 anni che ho anche fare con un progetto per la digitalizzazione delle persone anziane…ma questi sono veramente avanti!!!

Da riflettere…



TUTTE LE FOTO DELL'ESCURSIONE











mercoledì 7 ottobre 2015

L' Umbria predilige il cerchio, la curva dolce...una passeggiata ispirata dalla vertigo umbra!

E' una insolita prospettiva della nostra Umbria, quella in mostra a Palazzo Baldeschi  in centro a Perugia fino al 25 ottobre 2015.

L’Umbria vista dall’alto tra realtà e immaginazione: aeropittura, aerofotografia, stampa antica, droni. 


Abituati a perderci per i vicoli angusti delle nostre cittadine, sguardo sempre in basso, perdiamo spesso il senso aereo del tutto e questa mostra ce lo restituisce attraverso le bellissime opere di aeropittura dei due principali pittori futuristi umbri Gerardo Dottori ed Alessandro Bruschetti, attraverso fotografie scattate in volo e registrate da droni, oppure attraverso stampe antiche che ritraggono alcune città umbre tra la fine del ‘400 e il ‘700. Un vasto repertorio di ispirazioni...

All'interno della mostra è anche possibile consultare il sito UmbriaGeo della Regione Umbria  e confrontare ortofoto del territorio degli anni 50 con quelle attuali. Si imparano un sacco di cose e si ha la riconferma delle trasformazioni nel nostro paesaggio!

E' entusiasmante anche per i bambini…acquisire questo sguardo assonometrico, proiettare le immagini su un piano, cogliere le geometrie della città e dei suoi edifici, immaginarsi in volo sopra città…e sempre più sù fino a vedersi dentro un'astronave o un satellite.

Constatare che la terra corre velocissima sotto un aeroplano immobile ( da il Manifesto dell'aeropittura

Ho fissato una frase di Dottori, riprodotta in un pannello all'ingresso della mostra:
L'Umbria predilige il cerchio la curva dolce le ascese che suggeriscono la spirale. Così è nato spontaneo in me un paesaggio umbro circondante in cui costringo lo spettatore a porsi idealmente con me al centro dell'aeropittura per dominarla e viverla nella sua rotondità totalitaria. - dal manifesto umbro dell'aeropittura 1941.

Ed è proprio così che il giorno successivo alla visita della mostra decidiamo di porci idealmente anche noi al centro di un quadro di Dottori e partiamo per un'escursione nei pressi di Panicale: il nostro obiettivo è cogliere le stesse visioni sul lago Trasimeno di cui, in tante opere, l'artista ci circonda.



E' risalendo la cresta del monte Ripalvella che ci riusciamo pienamente, ripassiamo i nostri orizzonti e li ricoloriamo con la luce di ottobre…saturi di tutto questo ci piacerebbe tanto essere in grado di riprodurre con un disegno quanto abbiamo colto…ma questa volta non osiamo farlo e ce lo lasciamo risuonare dentro!




domenica 10 maggio 2015

Per una volta...un nemico diverso!

Qualche volta le storie succedono all'incontrario…e questa, che oggi siamo andati a conoscere sui luoghi in cui è avvenuta, è una di quelle.
E' la storia del luogotenente della Wehrmacht Paul Riedel…che questa volta non possiamo definire terribile e spietato, ma al contrario intimamente buono e coraggiosamente disobbediente agli ordini disumani dei suoi superiori.

Oggi è stato possibile per noi fare una escursione nei luoghi ove questa vicenda si è consumata al tempo della seconda guerra mondiale, grazie al grande lavoro di ricerca e documentazione che ha effettuato qualche anno fà la professoressa Marinella Saiella, imbattutasi per caso venti anni prima nell'enigma di un soldato tedesco seppellito nel piccolo cimitero di Migiana di Monte Tezio

Ho ricevuto in dono il testo della ricerca, da un'altra prof…che ci perdonerà se la appelliamo così…ma tant'è… si tratta proprio della prof di italiano di Giosuè…
Così oggi …partiamo in direzione di Migiana di Monte Tezio, sbagliando clamorosamente strada più volte…e dimenticandoci della gara Grifonissima in corso…costretti a fare tutto un giro attorno a Perugia prima di raggiungere il punto di partenza: la chiesa di Migiana.

E' un borgo quasi disabitato, che conserva intatto tutto il suo fascino, immerso in una rigogliosa natura, merita una attenta osservazione e la più rilassata contemplazione del paesaggio che si apre agli occhi del visitatore, è come trovarsi in un balconcino naturale sulla costa orientale del Tezio. Il cielo è terso e potremmo rimanere per ore a scrutare l'orizzonte. 

Cominciamo, però, la nostra breve passeggiata, cerchiamo il cimitero…vogliamo iniziare a raccontare la storia di Paul dal luogo in cui è sepolto. Attraversando il piccolissimo paese tanti elementi rapiscono lo sguardo: una edicola, la fonte, il riflesso della luce del sole sull'acqua della sua vasca, rose, pergolati, alberi di fico addossati a muri di case ormai vuote…ma riecheggianti di suoni, di azioni; fuori nei cortili ancora attrezzi, oggetti, ruggine, vasi; i tetti rattoppati, il tentativo di qualche nuovo o vecchio proprietario di non far crollare tutto nell'attesa di avere il tempo ( e forse i soldi) di restaurare questi poveri edifici, quando ecco che scorgiamo il piccolissimo cimitero…in un attimo siamo dentro l'antologia di Spoon River…

Troviamo il cancello chiuso…ma è talmente piccolo che riusciamo ugualmente a vedere la tomba di Paul Riedel…nel piccolissimo cimitero sono rimasti solo due loculi con la lapide! A terra le solite piccole croci e i paletti di ferro arrugginito con su scritte, forate, le parole: bambini, bambine, uomini e donne…ma crediamo siano tutti riesumati. 
Anche Paul è stato seppellito a terra, è morto nel 1944, poi la madre è venuta nel 1950 in Italia e lo ha deposto in un loculo donato da una famiglia del paese.

Paul guidava un comando della Wehrmacht in ritirata su questi luoghi nel giugno del 1944, giungendo da Perugia pensò con i suoi uomini di appostarsi qui a Migiana per la sua posizione dominante e in particolare si stabilì al Castello di Procoio, poco sopra, dove noi andremo appena vistato il cimitero. 
E' a questo punto che la sua storia si intreccia con quella degli abitanti del luogo e del castello…la guerra aveva fatto maturare in Paul una sorta di vergogna per gli atti miseri di cui si era macchiato il suo popolo e per la mostruosa ideologia dei suoi capi, Paul era gentile e comprensivo con gli abitanti di Migiana, portava rispetto e comprensione. I fatti culminarono nel giugno alla fattoria di Fontenovo, poco più a nord del paese.

Anche noi ci vogliamo dirigere verso questo piccolo agglomerato di Fontenovo, per vedere con i nostri occhi, oggi è un'azienda agricola attiva, non possiamo entrare c'è un cancello chiuso…ma ci posizioniamo in un piccolo poggiolo al suo esterno per finire di leggere cosa accadde lì nel 1944 ( tratto da Marinella Saiella - "…ricordando la madre lontana…" Storia di un nemico diverso pag 35-36)  : "

Quando arrivarono le truppe tedesche, intorno al 20 giugno, la piccola Velleda era appena nata e 
riposava nel letto, insieme alla giovane madre: all'improvviso i soldati irruppero nell'edificio, urlando, radunarono gli uomini nel cortile, minacciandoli di morte, soprattutto quando trovarono una pistola addosso al fattore. Alcuni dei militari perquisirono le stanze della casa ed entrarono nella camera da letto, dove si trovava la neonata con la sua mamma: come spesso capitava in quei tempi, il furore animalesco di un esercito occupante s‟indirizzò soprattutto nei confronti degli innocenti indifesi. Un soldato strappò la piccola alla mamma e la passò ad un compagno, come per un tragico gioco incosciente (“I soldati, ubriachi e selvaggi, facevano paura, non avendo nulla da perdere...Dovevano bruciare, distruggere, uccidere...questi erano gli ordini.”): la situazione sembrava incontrollabile e inevitabile una tragica fine....Quando, all'improvviso, entrò il giovane tenente Riedel che comandava il reparto, si rivolse urlando ai suoi sottoposti e li cacciò dalla stanza, non prima di aver preso in braccio la neonata ed averla restituita al confortante tepore del seno materno. Dopo, presero possesso degli edifici di Fontenovo e lì stabilirono un nucleo di resistenza armata : per tutto il tempo che vi rimasero, l‟ufficiale tedesco veniva a trovare la piccola, che in qualche modo aveva salvato dalla violenza dei suoi soldati. La prendeva in braccio, andava vicino alla finestra della camera e guardava con un‟insolita tenerezza il suo faccino: chissà che cosa cercava in quella vita innocente appena nata, chissà quali pensieri, quali immagini, quali ricordi terribili gli tornavano alla mente!
A questo punto è bene lasciare alla protagonista il compito di raccontare i momenti conclusivi della storia, considerando sempre che a lei, testimone inconsapevole, i fatti sono stati trasmessi dagli adulti che li hanno vissuti: “Le cose a un certo punto precipitarono: era la fine di giugno e gli alleati nel loro lento procedere da Perugia verso nord, erano ormai arrivati nei pressi di Migiana, pur con le difficoltà legate alle strade strette, polverose, in gran parte inagibili...Giunsero alla Forcella, dove c‟è il bivio che porta al paese e allora le bombe, i colpi di cannone e mitragliatrice si fecero sempre più vicini. Era il 29 giugno e i miei sentirono un gran vocio, un rumore di passi pesanti ed urla  frenetiche: i soldati litigavano fra loro e si rivolgevano con rabbia al loro comandante...In poco tempo rifecero gli zaini ed uscirono dalle case, dove rimase solo Paul che indicò agli abitanti della fattoria un rifugio sicuro dalla tempesta di fuoco che si stava sviluppando, una grotta scavata lungo le pendici del Tezio, che era stata già utilizzata con questo scopo. Andammo tutti lì e da quella posizione sopraelevata rispetto alla fattoria i rifugiati videro il tenente che, vestito di bianco, si muoveva nella zona del cortile, diventando un perfetto bersaglio per il fuoco nemico.
Infatti, quando si fermò la battaglia, alla sera, noi tornammo giù e lo trovammo riverso sotto un albero ( denominato l'albero del tedesco), coperto di sangue. Tutti lo circondarono, muti. Mia madre andò a prendere un lenzuolo per coprirlo: un atto di pietà riverente, che continuò nei giorni successivi, fino al funerale....”
“Si svestì della divisa e mise un completo chiaro, pantaloncini e maglietta, e con quelli si mise in una posizione favorevole per essere colpito da lontano....Voleva morire, evidentemente!”

Dopo la fattoria di Fontenovo, saliamo al castello di Procoio per una traccia di sentiero…violando, attraverso un piccolo passaggio nella recinzione, la proprietà privata del castello. Oggi infatti il castello, costruito nel 1400 come castrum e ricovero per  animali e persone … è divenuto una fastosa residenza di lusso, i recenti rimaneggiamenti  ci confondono un po' le idee…ma per fortuna troviamo il castello desolato, chiuso direi, e possiamo indisturbati andare avanti con la lettura del racconto di Paul.


Leggiamo altri passaggi del lavoro di Mariella Saiella che ci riporta un altro episodio avvenuto proprio davanti al castello da cui  si rileva la bontà del tenente impegnato questa volta a proteggere gli animali della famiglia del castello dalle bravate dei suoi uomini…che per gioco sparavano alle galline privando la famiglia del cibo di che sopravvivere.

Tutto questo costò la vita a Paul Rider, ma anche la grande stima degli abitanti di Migiana che adottarono Paul da morto e si presero cura della sua tomba fino ai giorni nostri.

Paul teneva un diario, in cui registrava tutto: i fatti, gli stati d'animo e la volontà di essere seppellito a Migiana, qui aveva lasciato il suo cuore e qui sarebbe voluto rimanere per sempre dopo quel gesto coraggioso e premeditato di immolarsi! Fu così che anche i suoi familiari vennero a conoscenza della sua volontà; la madre giunse in Italia 5 - 6 anni dopo a piangere sulla tomba del figlio e a conoscere Velleda, la bimba da lui salvata, e tutti gli altri abitanti. Fù lei che fece scrivere le parole che ancora oggi si possono leggere nella sua lapide:

“Pace all‟anima - del L.T. PAUL

RIEDEL - n. a Munchen il 20 agosto 1919 - morto il 29 giugno

1944 - per l‟adempimento del dovere - combattendo in Italia - e ammirando le sue 

bellezze - nella luce della fede cattolica - desiderò che anche la sua tomba – fosse 

in suolo italiano – pur ricordando la madre lontana”.


A noi, che andiamo sempre in giro a scovare luoghi partigiani o luoghi degli eccidi nazifasciti, ci sembra questa una favola, una favola al rovescio…ma siamo onorati di averla scoperta e non possiamo non essere grati a chi ha saputo ricostruire attraverso fonti dirette e indirette, scritte e orali questa perla, ci impegneremo nel nostro piccolo a diffonderla…certi che di storie così ce ne siano molte altre da far riaffiorare…anche questo ci sembra sia un dovere!